ROSARIA CAPASSO
Cosa o chi mi ha spinto a gettarmi senza freno in quest’avventura? Una ragazza con un bagaglio pieno di vestiti e di preoccupazioni di notte per dieci ore su una poltrona della nave, verso una piazza di una città sconosciuta, per incontrare dei ragazzi da tutt’Italia. “Proverò a trarre del bello da ogni momento, a fotografare ogni istante e ad ascoltare i silenzi”, con queste parole mi sono convinta a vivere tutto e tutti. Così ho iniziato a scrivere ogni parola, a osservare ogni sorriso, a vivere ogni testimonianza, a capire che cosa potessi trarre dalle parole di ogni musicista e dalle ore con gli altri ragazzi. Ho iniziato ad amare ogni incontro e desiderarne sempre di più. Volevo vivere tutto di nuovo. Avrei voluto vivere tutto un po’ più a lungo. Avrei voluto vedere che la strada non fosse ancora finita. In fondo seppure in salita, avrei potuto passeggiare ancora con tutti loro. Il mio “Zipoli” continua nei gesti di ogni giorno e nelle parole che ho voglia di dire a chiunque mi chieda dell’esperienza vissuta. Parole, inoltre, ricche anche di un messaggio, inviato il terzo giorno a mia madre: “Io l’anno prossimo ritorno”. È come se, arrivati lì, tutto il caos e i rumori vissuti durante l’anno assumessero un ordine e diventassero le note della tua personale composizione, quella della tua vita. A Zipoli ho potuto ascoltare gli insegnamenti di grandi musicisti; fare, attraverso gli occhi e i racconti degli esperti, esperienze di storie, vite e attimi; partecipare a una messa gospel, a una messa con canti gregoriani e stringere un patto di accoglienza reciproca, con lo scambio della pace, con un musulmano. A Zipoli ho scoperto che esistono diverse immagini per parlare di felicità: nessuno ne ha solo una. Per ora io ne ho due: dieci ragazzi, da tutta Italia, che suonano e ballano con tre danzatrici indiane per le strade di Palermo con una chitarra e qualche parola d’amore; dieci amici seduti in cerchio per ascoltare un chitarrista jazz nell’immensa chiesa di marmo bianco del Gesù Nuovo di Palermo. A Zipoli ho potuto sentir parlare di musica, ascoltare la musica, vivere di musica, pregare attraverso la musica, ma soprattutto amare a tempo di musica, quella che segue il ritmo delle corde del cuore.